La vittoria greca alle Termopili e a Salamina
Biblioteca
Nel 480 a.C. gli dei della guerra dovettero decidere a chi concedere il loro favore, nello stretto di Salamina: al subdolo Temistocle, ateniese che tendeva le trappole con la pazienza di un chirurgo e che fu la mente dell'incredibile vittoria; al grande Serse, il re persiano che credeva si poter correre i mari come i suoi cavalli galoppavano sull'altopiano iraniano; ad Artemisia, l'ambiziosa regina di Alicarnasso, una delle poche donne comandanti di navi della storia e che lottava per conquistare il suo posto in un mondo maschile. Un mondo sull'orlo della distruzione e gli eroi (e i folli) che lo salvarono dall'abisso. Una avvincente, brillantissima storia e una indimenticabile analisi della cultura antica.
Ecco un estratto del volume:
«Era l'ultimo Ateniese. Sempre che quattro ossa in una cassa potessero considerarsi un Ateniese. Da vivo, era stato Temistocle, l'ideatore della più grande battaglia navale mai combattuta. Ora i suoi resti venivano segretamente traslati qui, in terra ateniese, forse, come si sussurrava, lungo la riva, fuori delle mura del Pireo. Correva voce che la famiglia di Temistocle avesse riesumato quelle spoglie, di nascosto dalle autorità, dalla loro tomba in suolo straniero.Era un sotterfugio che avrebbe fatto sorridere quello scheletro: chi infatti, fra tutti i Greci, popolo scaltro, era più astuto di Temistocle? Nessuno, salvo forse il viaggiatore la cui nave passava davanti al luogo della sua sepoltura in quella mattina d'estate del 430 a.C.
L'osservatore era uno che sapeva apprezzare le persone intelligenti, e che poteva ringraziare gli dei in quel momento, stando sul ponte battuto dal vento, con lo sguardo rivolto all'ultimo Ateniese che avrebbe forse mai visto. Erodoto, era questo il suo nome, ne aveva visti di Ateniesi!Atene dominava il mare, e lui aveva passato la vita viaggiando. E qui Erodoto poteva osservare dalla sua nave il luogo dove Atene aveva combattuto la sua più decisiva battaglia navale. Sull'altra sponda del canale sulla cui riva giacevano le spoglie del grand'uomo, c'era il luogo dove, cinquanta anni prima, Temistocle aveva giocato la stessa sopravvivenza di Atene sull'esito di una sola giornata. A Erodoto sul ponte bastava volgere lo sguardo verso occidente, ed eccola, alta come una roccia: Salamina.Sembrava più una fortezza che un'isola, separata dalla terraferma da una distesa di acqua azzurra breve come un fossato: lo stretto di Salamina. L'isola, un tempo indipendente, apparteneva da lunghi anni ad Atene, il cui dominio si estendeva al di là dell'angusto canale. Nel 480 a.C., in questo stretto, venne combattuta una battaglia proprio là dove l'aveva prevista Temistocle. Ai primi dell'autunno, quando i giorni e le notti sono eguali, molte navi da guerra si scontrarono per decidere il futuro della Grecia. Un esercito persiano invasore mirava ad aggiungere la Grecia al più vasto impero mai visto al mondo, mentre gli irriducibili Greci lottavano sul mare per la libertà o la morte.
Il giorno sorgeva nel biancore dell'alba; dodici ore dopo, nel rosseggiare del tramonto, i resti di una delle due flotte fuggivano tumultuosamente dallo stretto, incalzati dall'altra.Se la battaglia fosse andata diversamente, sulla Grecia avrebbero regnato re e regine. Uno di questi era Serse, il Gran Re di Persia, che aveva assistito alla battaglia da terra.Un'altra era Artemisia, regina guerriera di Alicarnasso (oggi Bodrum, in Turchia), che prese parte al combattimento nel mezzo della mischia – una delle pochissime donne della storia ad aver comandato delle navi in battaglia.Ma ora, cinquant’anni dopo, Atene era a mal partito. Soltanto un esperto nell’arte dell’evasione avrebbe potuto trovare quel raro mercantile in approdo al Pireo durante una pestilenza, e un ancor più raro posto a bordo. In una vita di viaggi, Erodoto aveva acquistato la sua buona dose di intraprendenza. Era un uomo sulla cinquantina, con una lunga barba su un volto scarno e abbronzato e un’incipiente calvizie che scopriva una fronte grinzosa. Erodoto portava un mantello sopra una tunica, robusti stivali e un cappello a tesa larga. Quando, giunto ad Atene, l'aveva trovata assediata da un esercito nemico, Erodoto aveva probabilmente minimizzato la cosa.
Quella guerra non era che l'ultima delle tante che Atene aveva combattuto contro le sue rivali in Grecia. E lui sapeva che mura inespugnabili collegavano Atene al suo porto, a meno di cinque chilometri di distanza. La flotta ateniese dominava i mari e riforniva la città di tutto quanto le occorreva: il pesce dalla Sicilia, il grano dalla Crimea, i generi di lusso dalla Lidia: nulla era tanto caro o distante da resistere all'attrazione di un porto risplendente dell'oro delle monete e difeso da trecento navi da guerra. Ma Erodoto non aveva fatto i conti con l'epidemia.Si moriva sotto i porticati di marmo, ai piedi delle statue dorate, dentro i più popolari boschetti sacri. Sbrigato l'affare che l'aveva condotto ad Atene, Erodoto approfittò di un posto su un mercantile in partenza. L'aveva scampata bella.Pure, nel dare un ultimo sguardo ad Atene, è probabile che si sentisse sollevato ma anche, in pari misura, pervaso da un reverenziale stupore.Quel che si vedeva dal ponte non era una vista ordinaria.In realtà, tra l'aria salmastra e il fumo degli incendi, i gemiti lontani degli appestati e il vicino sciabordare dei remi nel porto, quel panorama diede vita all'opera erodotea».