Africa. Biografia di un continente
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E' l'Africa il continente in cui la razza umana ha messo le sue prime radici. Ed è l'Africa la terra che John Reader ha calcato e raccontato per oltre quarant'anni. Con questo libro l'autore intraprende un viaggio alla scoperta di un grande continente e dalla sua storia, dalle prime formazioni geologiche all'inizio della vita, dai crimini del colonialismo bianco alle guerre civili e ai genocidi di oggi, dalle vicende dei popoli ai ritratti delle figure più carismatiche.
L'enigma dell'Africa raccontato in modo avvincente e narrativo da John Reader. Una parte importante della biografia di questo continente è dedicata alla narrazione della nascita della specie umana con riferimento alle teorie più accreditate. Nel prologo l'autore spiega le ragioni che lo hanno portato a dare così ampio spazio alla preistoria nel suo libro: «Le origini dell'uomo sono in Africa. (...) Centomila anni fa circa, piccoli gruppi di esseri umani evoluti lasciarono per la prima volta l'Africa e colonizzarono a poco a poco il resto del mondo. La loro attitudine all'innovazione li condusse a occupare ogni nicchia sfruttabile. (...) Alla fine degli anni Sessanta l'uomo ha raggiunto la luna. Un percorso davvero eccezionale, reso possibile dalle capacità e dai talenti che si sono evoluti in Africa».
L’autore però non si limita a trattare l'Africa delle origini ma conduce il lettore nel complesso mondo africano cercando di comprendere e analizzare l’anomalia che esso costituisce, le ragioni che hanno condotto la storia e la civiltà di quel continente su una strada differente da quella intrapresa delle altre parti del mondo. L’Africa da sempre costituisce un enigma, una domanda aperta per storici e antropologi. Nella storia africana tutto sembra ribaltato, dai dati demografici che dimostrano una crescita bassissima della popolazione in ogni epoca storica, alla durata limitata degli stati autoctoni e delle complesse civiltà nate laggiù.
Reader analizza la storia del continente dalla sua formazione ai giorni nostri e trae delle conclusioni valide, interessanti. L’autore ci fa notare dei particolari che spesso rimangono incompresi agli occhi di un europeo ma che sono fondamentali nella comprensione dell’Africa.
Proponiamo anche l'interessante recensione proposta da Vittorio Corona, docente di Scienze Naturali, apparsa sul sito "Treccani scuola".
«Come scrivere la biografia di un continente? La parola stessa continente evoca un’eterogeneità di popoli, lingue e culture difficilmente riconducibili a una sola unità.
La parola Africa, sostiene invece l’autore, evoca tratti unici, frutto di una strana commistione di esotismo e di riconoscimento di sé che sono gli stessi popoli che la abitano ad attribuirle .È proprio questa unità che viene descritta nel libro di John Reader che, nel raccontare alcuni episodi particolarmente significativi della storia del continente africano, ci apre la strada per interpretarne tanti altri.
Così come in una biografia, a sostegno delle sue tesi unitarie, si dipanano in ordine cronologico le principali tappe della storia africana, dalla sua origine geologica sino alla rinascita culturale di questi ultimi secoli. Il tutto viene inserito sullo sfondo di una terra geologicamente antichissima, ma naturalisticamente unica. L’autore ci accompagna attraverso la storia naturale del continente africano, non tanto intesa come descrizione dell’ambiente quanto della complessa rete di relazioni che intercorrono tra la storia dell’uomo e quella della terra da lui abitata. Nel caso in questione, i rapporti sono così stretti che difficilmente potremo rinunciare a considerare i fenomeni naturali se cerchiamo una spiegazione dei processi storici di scoperta, di colonizzazione e decolonizzazione del continente.
I rapporti dell’Europa con l’Africa vengono inseriti, sia pure nella loro innegabile importanza, tra le tante rivoluzioni culturali che hanno interessato il continente fin dalle epoche preistoriche, di cui rimane fondamentale la remota introduzione dell’allevamento e dell’agricoltura che portò i primi cambiamenti nel sistema di relazioni uomo-natura.
Traspare tra le pagine del volume quasi uno stupore, da parte dell’autore, nel riconoscere i segni indelebili che questi eventi hanno lasciato nelle popolazioni africane, sempre sospese tra il fascino del nuovo e uno strenuo attaccamento alle tradizioni, insieme alla continua speranza di riuscire a esprimere risposte sociali e culturali adeguate a rispondere alle invasioni da parte di popoli stranieri o alle ricorrenti calamità naturali, come la siccità o la diffusione di epidemie.
Tali risposte vengono approfonditamente descritte in tutte le forme in cui si sono presentate: sia sotto l’aspetto di innovazioni linguistiche – come la diffusione delle lingue bantu nell’Africa centrale in seguito all’introduzione dell’agricoltura – sia sotto forma d’innovazioni sociali quali l’affermarsi delle città-stato lungo il corso del Niger per far fronte alle periodiche siccità sia, più drammaticamente, come attraverso conflitti interetnici (vedi l’eccidio degli Hutu da parte dei Tutsi, causato dal razzismo alimentato in Ruanda anche dalla dominazione tedesca di inizio Novecento).
Tra le pagine di questa monografia non traspaiono mai, né esplicitamente né implicitamente, atteggiamenti paternalistici che tentino di ridurre la cultura africana a una forma di primitivismo, ma anzi – sostenendo con fermezza l’unicità del continente – si richiama costantemente l’attenzione del lettore sui fenomeni naturali, citando documenti storici nella tradizione del migliore empirismo anglosassone e, per sottolineare la serietà della ricerca, viene fornita al lettore una vastissima bibliografia di articoli e di testi.
Nel tentativo ulteriore di liberarsi da schemi mentali che hanno così spesso mistificato episodi antichi e recenti riguardanti il continente africano, l’autore si spinge a negare che conflitti violenti possano aver rivestito una qualche importanza nella storia precoloniale dell’Africa, sostanziando questa sua affermazione con la quasi totale mancanza di testimonianze di guerre e genocidi riferibili a quel periodo. Reader sembra in tal modo voler tendere una mano al mito del bon sauvage, così spesso impregnato di sentimentalismo antimoderno, ricollocandolo invece nell’alveo delle migliori teorie scientifiche».