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Il fascismo di Lidia, piccola italiana svizzera

M. Chiaruttini, "Il fascismo di Lidia, piccola italiana svizzera"

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M. Chiaruttini, "Il fascismo di Lidia, piccola italiana svizzera"

Lo storico e docente Massimo Chiaruttini presenta i temi principali che emergono dagli scritti scolastici di Lidia Bernardazzi, composti dalla ragazza tra l’ottobre 1938 e il maggio 1942, ospite dell' Istituto Magistrale femminile del Sacro Cuore di Sale, provincia di Alessandria, Piemonte. 

Il presente articolo è apparso in Cartable de Clio. Revue romande et tessinoise sur la didactique de l'histoire, N.3, Ed. Loisir et Pédagogie, Lausanne 2003, pp. 279-302). In allegato è possibile scaricare il file dell'articolo in PDF. La presente riflessione fa parte del Dossier Didattico "I temi di Lidia, piccola italiana svizzera" e del Dossier «L’infanzia al tempo delle leggi razziali. Persecuzione antisemita e fuga verso la libertà» realizzato in occasione della Giornata della memoria 2022.

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« Il 17 ottobre sono incominciate le scuole. Dopo aver frequentato dalla prima alla quinta classe in Svizzera, frequento ora la prima magistrale inferiore qui in Italia, nell’Istituto Sacro Cuore di Sale. La nostra aula è abbastanza grande, e ha quattro finestre dalle quali vi entra il sole e la luce. Al muro dove c’è il tavolo della suora vi sono quattro quadri. Il più grande è del Sacro Cuore, gli altri sono del santo Padre; in mezzo, a sinistra, c’è quello del Re e a destra quello del Duce. »

Inizia così il primo quaderno di componimenti di Lidia Bernardazzi, alunna dell’Istituto Magistrale femminile del Sacro Cuore di Sale, provincia di Alessandria, Piemonte.
Siamo nell’autunno del 1938 e una pesante cappa nera sta calando sull’Europa. In Spagna le speranze dei repubblicani di volgere a proprio vantaggio le sorti della Guerra civile si stanno infrangendo sull’Ebro; da alcune settimane le truppe di Hitler sono penetrate nei Sudeti con la benedizione giunta da Monaco; in Italia, dove l’entusiasmo per la vittoria ai campionati del Mondo di calcio non è ancora sopito, Mussolini ha da poco sferrato «tre cazzotti nello stomaco» alla borghesia, sostituendo il lei, « servile e straniero » con il voi, introducendo il passo romano a imitazione del passo d’oca tedesco ed emanando la legge che proibisce il matrimonio tra i «cittadini italiani di razza ariana » con persone di altra razza.

Lidia ha dodici anni. Le considerazioni sul primo giorno di scuola nell’ Istituto che l’ha accolta da due settimane si trovano su uno dei tre quaderni di temi scritti dalla ragazza tra l’ottobre 1938 e il maggio 1942; una cinquantina di manoscritti in tutto, ora gelosamente custoditi, insieme ad altri ricordi di quegli anni, da colei che oggi è la Signora Lidia, 78 anni, residente a Caslano. La scuola di Lidia è un istituto religioso gestito dalle suore.

Sui muri delle aule non mancano, accanto al ritratto del papa, quelli del re e del duce. Un connubio che non può sorprendere e che è anzi fortemente avvertibile anche nei quaderni di italiano delle alunne. Come in tutte le scuole del mondo, le insegnati propongono lo svolgimento di temi tradizionali di carattere descrittivo (sulla madre, sui compagni di classe, sulle vacanze), storico-letterario (sugli eroi delle Guerre Puniche e dell’Odissea) e fantasioso (su viaggi immaginari e personaggi inventati); qui non manca però anche l’invito alla riflessione su argomenti di carattere politico.

Una situazione certamente comune a tutti gli istituti pubblici e a quelli privati di quegli anni: nessuno risulta impermeabile al vento della propaganda di regime. Come nota Elena D’Ambrosio, « la scuola diventò ben presto la cassa di risonanza di tutte le scelte e le iniziative del regime.

L’attività didattica e quindi le letture, i dettati, i temi, gli stessi esercizi di aritmetica rispecchiavano il clima del periodo, erano il riflesso della politica, dell’economia nazionale, delle campagne intraprese dal regime in diversi campi. Ai temi dell’autarchia, della battaglia del grano, della lotta antitubercolare, della politica demografica veniva dato ampio spazio in ogni materia. »

E in effetti, basta scorrere l’elenco dei titoli assegnati dalle insegnanti dell’Istituto frequentato da Lidia Bernardazzi per avvertire la prepotente dimensione ideologica di cui è impregnata la scuola: « Come intendi compiere i tuoi doveri per essere una buona Piccola Italiana agli ordini del Duce ? »; « Perché nelle vostre preghiere quotidiane non dimenticate il Re, il Duce e la Patria ? » ; « La decima campagna nazionale antitubercolare » ; « Roma, Italia, Impero : tre nomi indissolubilmente congiunti nella storia del mondo » ; « Parlate brevemente delle commemorazioni celebrate dal primo giorno di scuola fino ad oggi » ; « La gioventù dell’Eneide e la gioventù del Littorio ».

Quando poi l’Italia si trova invischiata nella guerra, il richiamo ai valori di solidarietà patriottica diventano oggetto di celebrazione retorica ed esercizio letterario: « In ogni cimento il soldato d’Italia tutela l’onore, il diritto e l’avvenire della Patria » ; « L’asse Roma-Berlino » ; « Ludi Juveniles Giovane Italiana. Doveri, aspirazioni e voti della Giovane Italiana mentre la Patria è in armi »; « Con generosa mano la Patria in armi ricambia amorosamente, con l’assistenza alle spose e ai bimbi, i sacrifici dei combattenti ».

Ma perché Lidia, cittadina svizzera che abita a Zurigo (come lei stessa ama ricordare nelle prime righe del suo primo componimento) frequenta una scuola in Italia? Sulle circostanze che portarono i suoi genitori a decidere di iscriverla in un istituto religioso piemontese vale la pena soffermarsi qualche istante poiché la storia di questa « Piccola Italiana svizzera » sarebbe inspiegabile senza fare riferimento a un fenomeno storico e a un contesto antecedenti a quello del fascismo : il XIX secolo, il secolo dell’emigrazione.

I genitori di Lidia appartenevano ad antiche famiglie malcantonesi che avevano partecipato all’emigrazione oltre confine e oltremare. Nell’800 dal Malcantone partivano soprattutto maestranze dirette nelle fornaci di mattoni piemontesi e di altre regioni del nord Italia. Molti emigranti lavoravano come semplici operai; altri fecero invece fortuna e diventarono proprietari di stabilimenti.

Fu questo anche il caso del nonno di Lidia. La fornace posseduta dai Bernardazzi si trovava nei pressi di Acqui, in provincia di Alessandria. Il padre di Lidia, Carlo, dopo la morte del genitore, vi lavorò per alcuni anni, fino alla fine degli anni Dieci. Tornò quindi in Ticino ma rientrò in Piemonte nel maggio 1921 dopo essersi sposato. Qui lavorò per alcuni anni presso alcune fornaci dell’Astigiano e dell’Alessandrino (lo stabilimento di famiglia era stato nel frattempo venduto a causa di difficoltà finanziarie), finché decise di rientrare definitivamente in patria con la famiglia nel 1925. Ma la situazione economica in cui versava il Ticino lo spinse a scegliere nuovamente la via dell’emigrazione, che questa volta lo portò a Zurigo, dove rimase fino al 1962 prima di tornare definitivamente nel Malcantone.

Le tre sorelle di Carlo erano rimaste in Piemonte. Una di queste, Rosalia Bernardazzi, diventata suora, aveva fondato, con altre consorelle, l’Istituto magistrale femminile di Sale. A Carlo e Pierina si offrì perciò un’opportunità che giudicarono interessante: mandare la propria figlia nel collegio diretto dalla zia. Evidentemente, però, non fecero i conti con la congiuntura politica di quegli anni, e nonostante Carlo fosse di convinta fede socialista, ritenne che quella soluzione potesse costituire per la figlia l’occasione di seguire una formazione in italiano, in un ambiente protetto e - visti i legami di parentela - sicuramente conveniente sul piano economico.

Ma torniamo ai componimenti, alcuni dei quali trovano spazio in queste pagine. Lo scopo della loro parziale pubblicazione non è certamente di apportare argomenti innovativi allo studio della strategie propagandistiche del regime fascista durante il Ventennio. L’intendimento è piuttosto quello di riflettere sull’utilizzo delle fonti storiche nella scuola e di offrirne un esempio pratico, concretamente messo in cantiere in una scuola ticinese.

Nel nostro caso si tratta di un tipo di fonti particolare, che alcuni studiosi classificano tra le cosiddette fonti preterintenzionali. A questa categoria appartengono « tutti quei resti di varia natura la cui funzione originaria o la cui natura non era destinata a serbare ricordo dei fatti, ma che per il solo fatto che si sono conservati ed esistono, valgono come fonte storica». I componimenti di Lidia Bernardazzi possiamo annoverarli tra questo tipo di fonti, dato che non è verosimile pensare che la ragazza, che allora aveva tra i dodici e i sedici anni, pensasse di scrivere per i posteri, e soprattutto per testimoniare le condizioni di vita e di pensiero di una scolara durante il Ventennio.

Qualsiasi approccio alle fonti, di qualunque tipo, presuppone un atteggiamento problematico da parte dell’allievo, chiamato a formulare delle domande al materiale che si appresta ad esaminare e a esplicitare delle ipotesi. Queste vengono in un secondo tempo messe a confronto con i risultati della sua attività di « interrogazione » delle fonti e, in seguito, anche con i risultati della ricerca condotta dagli storici e reperibile nei testi storiografici messi a disposizione dall’insegnante. Questa procedura - ipotesi, creazione di aspettative attraverso la formulazione di interrogativi da rivolgere alle fonti, confronto critico con la storiografia - costituisce un percorso che ogni allievo può strutturare a propria misura, avendo come base le pre-conoscenze di cui dispone. In questo modo « la costruzione della conoscenza non avviene attraverso una ricezione passiva, ma costituisce piuttosto il frutto dell’attività del soggetto ».

È soprattutto tenendo presente questa esigenza metodologica che ai ragazzi di alcune classi di quarta media di Viganello è stato chiesto di leggere i componimenti di Lidia Bernardazzi. Un’attività che ha trovato collocazione all’interno di un’unità didattica sul fascismo e che ha visto gli allievi lavorare sia sui titoli sia sui testi redatti dalla loro giovane coetanea di settant’anni fa. Una prima lettura dei manoscritti di Lidia è stata destinata all’identificazione dei dati espliciti, quelli, cioè, relativi ad alcuni aspetti peculiari del fascismo, e che i ragazzi avevano già avuto modo di incontrare sui testi storiografici: le organizzazioni giovanili (GIL, Piccole Italiane, Balilla, ecc.), i continui rimandi all’Impero romano, di cui il fascismo si considerava il naturale prosecutore, l’onnipresente figura del duce, oggetto di esaltazione personalistica. Il lavoro con gli allievi su fonti di questa natura ha comportato però anche la necessità di stimolare in loro la consapevolezza che ogni segno del passato, per il fatto stesso di essere sopravvissuto alle varie epoche storiche, deve essere analizzato tenendo conto non soltanto dei messaggi espliciti di cui sembra essere portatore, ma deve essere destrutturato in modo che si possano mettere in luce anche le condizioni in cui è stato prodotto. Alla prima lettura ne è perciò seguita un’altra più approfondita, tesa a portare alla luce una realtà non esplicitata direttamente dall’autrice dei componimenti ; una realtà costituita dalla strumentalizzazione della scuola a fini propagandistici, in cui gli alunni dovevano essere considerati oggetto ma al tempo stesso veicolo della propaganda politica messa in atto dal regime. I ragazzi si sono così resi conto, anche operando confronti con la realtà contemporanea, di quanto fosse pregnante e totalizzante la presenza dello Stato all’interno della vita dei cittadini. Che la scuola si faccia promotrice di valori universalmente riconosciuti non costituisce, per i nostri allievi, una sorpresa : già a partire dalla terza media, infatti, i ragazzi hanno l’opportunità di conoscere i fondamenti dello Stato democratico e possono toccare con mano la capacità delle istituzioni democratiche di assumere atteggiamenti di rispetto nei riguardi della diversità delle opinioni. Non è perciò mancata la sorpresa di constatare come la scuola d’epoca fascista si facesse promotrice della trasmissione di valori così distanti da quelli odierni. La natura stessa delle fonti utilizzate, così vicine all’esperienza di tutti i giorni, ha facilitato questa esperienza conoscitiva, maturata nei ragazzi mediante l’attività di « interrogazione » dei documenti a loro disposizione.

Tra gli obiettivi dell’insegnamento della storia non può mancare quello che Ivo Mattozzi considera di importanza fondamentale. Dice infatti Mattozzi :

Oggi la scuola può produrre un cambiamento di mentalità storica, un cambiamento del rapporto con il passato perché gli storici hanno elaborato categorie analitiche adatte ad organizzare il passato secondo una razionalità non storicistica. Grazie a esse l’educazione storica può orientare e potenziare l’attività irriflessa di quell’operatore storico che è la memoria – memoria individuale, memoria collettiva – e far insorgere quella che con espressione usualmente indeterminata si chiama coscienza storica ».

La costruzione di quella che Mattozzi definisce coscienza storica si compone, tra gli altri, di un elemento fondamentale: la « percezione della storicità di tutti i fenomeni riguardanti le società umane »6. L’accettazione di questo principio implica di necessità la ricerca e la messa in atto di strumenti didattici e scientifici atti a mostrare agli allievi che anche tutte le manifestazioni del presente, suscettibili di lasciare una traccia nel tempo, costituiscono potenziali fonti a disposizione degli storici del futuro. E non soltanto i documenti, intesi nell’accezione in uso prima delle messa in discussione concettuale operata dagli storici delle Annales; anche altre manifestazioni della quotidianità di ciascuno di noi. Tutto : segni, resti, avanzi che oggi inconsapevolmente ognuno di noi « produce » andranno a costituire l’immenso apparato delle fonti preterintenzionali di domani. Anche i nostri scritti. Anche i nostri componimenti scolastici.

BIBLIOGRAFIA:


E. D’Ambrosio,  A scuola col duce, pubblicato sul sito internet www.anpi.it. (http://anpi-lissone.over-blog.com/pages/Cosa_e_come_studiavano_i_nostri_nonni-27486.html).

G. Fasoli – P. Prodi, Guida allo studio della storia medievale e moderna, Patron editore, Bologna 1983.

P. Jonnaert - C. Vander Borght, Créer des conditions d’apprentissage. Un cadre de référence socioconstructiviste pour une formation didactique des enseignants, Ed. De Boek Université, Paris-Bruxelles 1999.

I. Mattozzi, “Obiettivi dell’educazione storica” in: AAVV, La storia insegnata, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Cuneo 1987.

 

I TEMI DI LIDIA IN IMMAGINI:


 

Copertina Quaderno di Lidia
Retro Quaderno di Lidia
Tema di Lidia
Tema di Lidia
libro di classe
Terza classe elementare anno IX
Quaderno terra abissina
Oro alla Patria

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  • Il numero de Le cartable de Clio, N.3.
    Numero della rivista con l'articolo di Massimo Chiaruttini.
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ATIS - INFORMAZIONI GENERALI

L'Atis, Associazione ticinese insegnanti di storia, è nata il 2 ottobre 2003 con l'obiettivo di riunire i docenti di storia della Svizzera italiana di tutti i gradi di scuola.

L'Associazione promuove la riflessione e il dibattito sull'insegnamento della storia e sulle diverse correnti storiografiche.

Difende la professionalità dell'insegnante di storia nell'ambito di una scuola sempre più messa sotto pressione dalle esigenze di una società dominata dalle leggi del rendimento economico.

Associazione ticinese degli insegnanti di storia - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - https://www.atistoria.ch