Gli internati militari italiani nella seconda guerra mondiale: Intervista a Mauro Pedretti
Mauro Pedretti, originario della Val Camonica, si trova a combattere in Grecia durante la seconda guerra mondiale. Arrestato dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943, è inviato nei campi di lavoro in Cecoslovacchia dove rimane per due anni prima di ritornare, in seguito a un viaggio tormentato, nella sua terra natale.
In questa prima parte dell'intervista, Mauro Pedretti racconta del suo arruolamento, della guerra in Grecia e del suo arresto dopo l'8 settembre 1943.
L'intervista a Mauro Pedretti può essere vista anche sul canale Vimeo dell'atis
La testimonianza
Atis - I campi di lavoro nel Reich. Testimonianza di Mauro Pedretti from Atistoria on Vimeo.
Il contesto storico
L’Italia si alleò alla Germania perché, secondo la cinica affermazione di Mussolini ai suoi stretti collaboratori “mi occorre qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative di pace” anche se poi la logica della propaganda e i fini imperialistici del regime imponevano un’altra giustificazione e un’altra retorica:“La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola e accende i cuori dalle Alpi all'Oceano indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all'Italia, all'Europa, al mondo. Popolo italiano!.... Corri alle armi.... e dimostra la tua tenacia.... il tuo coraggio.... il tuo valore!......”( 10 giugno 1940).
Le vicende belliche andarono però diversamente da quanto auspicato da Mussolini; in Russia l’avanzata tedesca si impantanò presso Stalingrado e il corpo di spedizione italiano fu quasi interamente annientato dalla controffensiva sovietica; non meglio le cose andarono sul fronte nord africano dove, dopo le sconfitte di El Alamein tra luglio e novembre, le forze dell’Asse si arresero nel maggio del 1943 in Tunisia. Era ormai evidente che i sogni di gloria di Mussolini stavano miseramente naufragando e in Italia si fece strada la convinzione che, scaricando il capo del governo, sarebbe stato ancora possibile intavolare trattative con gli Alleati per uscire con dignità dal conflitto.
Il 25 luglio Mussolini fu sfiduciato e Badoglio formò un nuovo governo che, nonostante le rinnovate assicurazioni di fedeltà all’alleato tedesco, mise sul chi vive gli alti comandi militari della Werhmacht. Poche ore dopo l’annuncio dell’armistizio trasmesso via radio da Badoglio la sera del 8 settembre 1943, l’esercito tedesco portò a termine l’operazione Achse occupando in breve tempo tutta la penisola. Già a novembre il generale tedesco Jodl, capo di stato maggiore della Werhmacht, riferì a Hitler “di 51 divisioni certamente disarmate, di 29 divisioni probabilmente disarmate e di 3 divisioni non disarmate. I prigionieri sono stati più di mezzo milione, di cui quasi 35.000 ufficiali, il bottino in armi e materiali ingente”. Gli ex alleati erano diventati nemici.
L’esercito italiano venne abbandonato a se stesso, senza precise direttive, creando enorme confusione soprattutto tra le fila dei militari dislocati all’estero (900.000 uomini di cui 260.000 in Grecia e nelle isole dell’Egeo): molti pensarono che la guerra fosse finita….
Una parte dell’esercito riuscì avventurosamente a mettersi in salvo e molti soldati si diedero alla macchia; altri tentarono di opporsi pagando un prezzo altissimo, come dimostra l’annientamento della Divisione Acqui sull’isola di Cefalonia – si stima circa 5.000 soldati passati per le armi –; la maggior parte dei militari, infine, fu catturata: è stato stimato1 un totale di 800.00 prigionieri.
Il racconto di Mauro Pedretti
Inizia qui il racconto di Mauro Pedretti, che dalla natia val Camonica si ritrovò a combattere sul fronte greco, mal istruito e mal equipaggiato come migliaia di suoi commilitoni.
La sua sorte fu simile a quella di molti altri, catturati, caricati su carri bestiame e trasportati, attraverso i territori di battaglia, nei lager tedeschi per prigionieri di guerra.
A differenza di altri però, gli italiani erano considerati traditori (ex alleati) e per questo subirono angherie e sofferenze inaudite; vennero privati di diritti espressamente riconosciuti dalla Convezione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra, e, in molti casi, dell’aiuto offerto dalla Croce rossa internazionale.
Dai lager principali o aziendali, collocati cioè nei pressi di una fabbrica, come nel caso di Pedretti, ogni giorno venivano scortati sul luogo di lavoro per svolgere attività spesso massacranti per 10/ 12 ore . Per meglio sfruttare il loro lavoro di schiavi, a molti prigionieri venne offerta la possibilità di passare dallo statuto di IMI (internati militari italiani) a quello di “lavoratori civili”, facendo loro credere in un miglioramento delle condizioni di vita: spesso, a chi rifiutava , l’accettazione veniva estorta con la forza.
La fine della guerra significò anche il ritorno alla libertà, ma il viaggio di rientro in Italia fu spesso difficile e avventuroso, anche se ben presto, a Bolzano ad esempio già a partire dal mese di maggio del 1945, sorsero centri di accoglienza per rimpatriati provenienti dal Brennero presso cui si rivolse anche Pedretti.
La storiografia
In generale la storiografia sul tema degli internati di guerra, almeno in Italia, è ancora poco conosciuta al grande pubblico e anche lo stato della ricerca è ancora insufficiente. Tutto ciò si può spiegare con la necessità, nell’immediato dopoguerra, di fondare la rinascita dell’Italia repubblicana sullo spirito della Resistenza, relegando le vicende dell’esercito italiano alla sconfitta non solo militare ma anche morale del fascismo e della monarchia. Una visione però che sul piano storiografico non rende giustizia ai molti militari che combatterono con fermezza e lealtà per il loro paese e nei confronti di tutti coloro che, dopo la sbandamento dell’esercito, passarono alla resistenza armata o si allinearono alla lotta contro il nazismo.
In questo atteggiamento di emarginazione nei confronti degli internati militari italiani ha giocato un ruolo importante anche un pregiudizio ideologico che è ben rappresentato dalla vicenda del libro di Alessandro Natta, segretario del partito comunista italiano a partire dal 1984. Natta (1918-2001) fu catturato sull’isola di Rodi e venne internato in Germania nel 1944. Su questa sua esperienza scrisse un libro “L’altra resistenza: i militari italiani in Germania , perché, rivelò lo stesso Natta agli inizi degli anni Novanta, “ a me parve che potesse essere utile anche una riflessione storico-politica sulla deportazione in Germania , dopo l’8 settembre, e sulla resistenza nei campi di concentramento dei soldati e degli ufficiali italiani. L’obiettivo che avevo era di mettere in luce il carattere peculiare dell’internamento di centinaia di migliaia di militari italiani”. Il libro venne rifiutato dalla casa editrice Editori Riuniti nel 1954 e il volume apparve in libreria solo nel 1996 presso Einaudi.
1. G. Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich, Roma 1992
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