Gli internati militari nella Seconda guerra mondiale: testimonianza di Mauro Pedretti
Mauro Pedretti dalla natia val Camonica si ritrovò a combattere sul fronte greco, mal istruito e mal equipaggiato come migliaia di suoi commilitoni.
La sua sorte fu simile a quella di molti altri, catturati, caricati su carri bestiame e trasportati, attraverso i territori di battaglia, nei lager tedeschi per prigionieri di guerra. A differenza di altri però, gli italiani erano considerati traditori (ex alleati) e per questo subirono angherie e sofferenze inaudite; vennero privati di diritti espressamente riconosciuti dalla Convezione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra, e, in molti casi, dell’aiuto offerto dalla Croce rossa internazionale.
Dai lager principali o aziendali, collocati cioè nei pressi di una fabbrica, come nel caso di Pedretti, ogni giorno venivano scortati sul luogo di lavoro per svolgere attività spesso massacranti per 10/ 12 ore . Per meglio sfruttare il loro lavoro di schiavi, a molti prigionieri venne offerta la possibilità di passare dallo statuto di IMI (internati militari italiani) a quello di “lavoratori civili”, facendo loro credere in un miglioramento delle condizioni di vita: spesso, a chi rifiutava , l’accettazione veniva estorta con la forza.
La fine della guerra significò anche il ritorno alla libertà, ma il viaggio di rientro in Italia fu spesso difficile e avventuroso, anche se ben presto, a Bolzano ad esempio già a partire dal mese di maggio del 1945, sorsero centri di accoglienza per rimpatriati provenienti dal Brennero presso cui si rivolse anche Pedretti.
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