"Lo zio d'America voleva la barba fatta": Presentazione del concerto
{xtypo_quote_right}"Padri e madri abbracciava i suoi figli che si sparivano sul fondo del mar"{/xtypo_quote_right} Secondo gli storici furono circa 26 milioni gli italiani che nel corso di cento anni (tra il 1870 e il 1976) decisero di partire alla ricerca di migliori condizioni di vita. Destinazione: il mondo intero, dagli Stati Uniti all'Argentina, ai paesi del Nord Africa; dall'Asia all'Europa, in Francia, Svizzera, Germania. Un immensa epopea popolare, drammatica e stupefacente, durata un secolo, che strappò i cittadini del nuovo Stato unitario (che ancora non si sentivano "italiani") alle loro famiglie, ai loro paesi d'origine e al loro contesto culturale. Contadini poveri, ancora legati al loro dialetto e al loro paese, partiti dal Nord al Sud, dal Veneto alle Puglie, passando per la Sicilia, buttati nella mischia dello sviluppo capitalistico e della modernità nei paesi più sviluppati. Dovettero fronteggiare difficoltà e cambiamenti enormi, adattarsi a condizioni di vita totalmente nuove, spesso da soli, lasciando mogli e figli a casa.
Un popolo in movimento, che nonostante i problemi affrontati trovò modo di lasciare traccia delle proprie avventure: la canzone popolare ci ha tramandato una parte dell'enorme bagaglio di storie e esperienze degli emigrati, una testimonianza formalizzata e diretta della partenza, del viaggio e della vita all'estero di milioni di italiani, ma anche di ticinesi, che a migliaia lasciarono la Svizzera per gli Stati Uniti, l'Australia e l'America latina.
Questi viaggiatori per necessità, tanto lontani da casa, dovettero trovare il modo di comunicare con i parenti, le mogli, i figli lontani e per farlo ricorsero alle lettere. Così l'esperienza migratoria ci ha lasciato uno straordinario patrimonio di letteratura popolare, rappresentata dalla corrispondenza degli emigranti, una miniera di informazioni e spunti per ricordare questa importante vicenda.
Lo spettacolo "Lo zio d'America voleva la barba fatta" (il titolo è tratto dalla "Tarantella dei baraccati", uno dei pezzi eseguiti) si basa proprio su questi due tipi di testimonianza della diaspora italiana: la canzone popolare e le lettere degli emigranti, per ricostruire alcune tappe di questa epopea proletaria. La musica e i testi permettono di fare un viaggio all'indietro nel tempo veicolato dall'emozione di parole scritte e cantate dagli stessi emigranti, accompagnate dalla proiezione di fotografie e da voci originali del tempo.
Lo spettacolo, della durata di circa un'ora, è strutturato in tre parti: la prima scandaglierà le ragioni della partenza, prendendo a prestito le parole di lettere e canzoni, come quella di Matteo Salvatore, straordinario cantautore e interprete della musica popolare pugliese, "Va lu bene mio", che narra la storia di un giovane partito per amore, per necessità, ma anche per desiderio di avventura.
La seconda parte dello spettacolo sarà dedicata al viaggio, spesso compiuto in terribili condizioni, a volte drammatico, degli emigranti verso la terra promessa. Una delle canzoni più conosciute e tristi che raccontano la traversata dell'Atlantico è "il Sirio", dal nome della nave che partì da Genova all'inizio del '900 e che non arrivò mai in Brasile; affondò al largo della coste spagnole.
"Padri e madri - dice la canzone - abbracciava i suoi figli / che si sparivano sul fondo del mar" e più di tante analisi storiche permette di cogliere il terribile rischio al quale gli emigranti si esponevano nel loro viaggio.
La terza parte di "Lo zio d'America voleva la barba fatta" sarà incentrata sulla vita degli emigrati nel Paese di adozione, segnata dal razzismo e dal rifiuto, ma anche da nuove solidarietà e amicizie, da fortuna e sfortuna, destini tragici o felici ricongiungimenti con la famiglia. In molti paesi gli italiani emigrati, tra i quali molti esuli politici, portarono la loro combattività e diedero un impulso importante nella creazione di esperienze solidaristiche, come cooperative di consumo, sindacati, associazioni, lasciando un segno duraturo nelle società di accoglienza.
"E con il sudore dei nostri italiani / abbiam costruito paesi e città", dice una delle più famose canzoni dell'emigrazione, che racconta anche dell'estrema precarietà delle condizioni di vita di tanti emigrati, costretti a stare "sui carri degli zingari".
Accanto alla lettura di epistolari dell'emigrazione e alle canzoni, durante lo spettacolo verranno proiettate anche immagini d'epoca: un viaggio attraverso una vicenda che ha segnato la storia d'Italia e che ha ancora molti insegnamenti da consegnare a chi si trova, oggi, confrontato alle migrazioni dal Sud del mondo. Allora gli emigranti italiani chiedevano condizioni di vita dignitose e accoglienza; lo stesso chiedono oggi i nuovi migranti.